Sono un sistema capitalista

 C'è nascosta nel sottoscala del mio intimo condominio
 una ragazza cinese  
 forse minorenne
 che lavora ininterrottamente di giorno e di notte.
 C'è una Penelope orientale  
 che disfa e tesse
 senza contratto
 senza orari  
 né salari
 Crea e distrugge
 una trama di ricordi 
 filata con fibre di emozioni  
 
 
 C'è nascosta nel sottoscala del mio intimo condominio
 una ragazza cinese
 che lavora ininterrottamente
 mentre ai piani alti
 la vita scorre
 con apparente normalità.  
 
 
 Sindacati,  
 per favore
 accorrete.
 
 

Senza di lei sarebbe tutto uguale

Dov'è
 Dov'è
 lei
 sottile e continua
 che racchiude e separa
 regola e definisce
 abbraccia forme nuove
 e non regala speranze illusorie
  
 Dov'è
 lei
 la somma dei lati
 che cinge i corpi
 li stringe in un solo abbraccio
 di un tratto unico
 spessore uno
 o due
 o tre virgola cinque
  
 Dov'è
 lei
 che trattiene la fantasia del bicchiere
 dal farsi tavolo
 e frena il mare dal sognarsi cielo
  
 Dov'è
 lei
 che determina a terra
 chi applaude
 e chi s'inchina
  
 Dov'è
 lei
 che confina il mio desiderio
 e decide chi sono io e chi sei tu,
 amore.
  
 Dov'è
 lei?
 Io non lo so.
  
  

Musica

Quella cosa che dentro sale

percorre le vene

ti possiede

ti scuote

e tu

nel silenzio della mente

scuoti le anche

nel silenzio della mente

snodato scalci e scacci i punti interrogativi

nel silenzio della mente

ti muovi scoordinato

e ti lasci entrare dentro

ed è come se gemessi

prendimi,

sono tua,

emozione.

 

tutto tace nella mente

mentre il corpo è in festa

finalmente libero di fare  quello che vuole

 

 

terremoto io

Tremo.
 Scosse di magnitudo mille sulla pelle mia
  
 Si crepa profonda la scorza dell’anima
  
 Tremo.
 Mi scuoto liberando il corpo dalle parole tue che mi si attaccano addosso
 Tremo.
 Mi divincolo nel tentativo di spegnere l’eco del suono della tua voce che lo ripete
  
 Tremo.
 Agitata dal vento incerto che ci culla tutti i giorni.
  
 Tremo.
 Insieme a te che tremi. Insieme a me che tremo.
  
 Tremo. Vibro. Oscillo. Sussulto. Vacillo. Traballo. Sobbalzo.
  
 Al tentativo di non tremare,
 Tremo ancora di più
  
 Trema la voce
 Tremano le sinapsi
 Tremano le mani
 Trema dentro la forma di me stessa che era un tempo e che non aderisce più all’involucro che trema.
  
 Trema l’epicentro del mio io.
 Tremano le convinzioni
 Trema il cellulare e sperando che sia tu, io fremo.
  
 E tremo.
  
 Tremo come Aquila senza cielo
 Tremo come foglia
 Come ramo in tempesta
 Come bambino il primo giorno di scuola
 Tremo come se vuoto fosse dentro
 Tremo per niente
 Tremo per tutto
  
 Tremo invocando aiuto
 Sperando che io possa sentirmi
 E smettere.
  

Volevo arrivare prima per questo

Corro
 Corro
 Corro
 Senza tregua
 Corro
  
 Corro
 Così veloce
 Da superare le pareti di me.
 Corro
 Protesa in avanti
  
 Corro
 Così forte
 Da sovrastare il rumore dei pensieri
  
 Cosa sarebbe se smettessi di correre?
 Il mio corpo mi raggiungerebbe
 Farebbe tana libera tutti
 E io potrei stare serena perché in fondo correre è un gioco
 Non si può dire che mi diverta
 Ma non ci si diverte sempre a giocare
 Quando perdo non è divertente.
 Mi rode il culo. Rosico. Perché col cazzo che l’importante è partecipare.
 Io voglio vincere.
 Per questo corro più veloce che posso
 Io voglio vincere.
 Voglio vincere così tanto che non mi guardo più attorno
 E non mi accorgo
 che è un pezzo
 Che corro da sola
 Che la gara è stata annullata
 Il traguardo non c’è più
 L’hanno spostato
 O forse
 Forse
 Non c’è mai stata una gara.
 Forse
 Io me la sono inventata
 Forse
 Io
 Ho iniziato a correre perché avevo paura
 Terrore infame di rimanere indietro
 Da sola
 E ho corso
 Così tanto
 Così forte
 Così lontano
 che l’unica cosa che vedo avanti
 sono io
 che corro
 da sola

Questo è per te

Questo è per te. Per te che sai che sarà per te nel momento in cui leggerai le prime parole.

 

Vorrei vedere l’alta marea quando l’acqua mi arriva alle caviglie

Vorrei la luna piena mentre guardo il sole

Vorrei che domani fosse oggi, dopo adesso e il tuo bacio prima che poi

Vorrei che tu smettessi di giocare a nascondino tra i pensieri della mia mente e i cunicoli delle mie vene

Vorrei essere il singolare prima persona e accompagnarmi al singolare seconda persona e dimenticare gli altri pronomi

Vorrei donare a me una frazione dei pensieri che dono a te. Scegli tu il denominatore

Vorrei essere te per sentire il vibrare del mio amore. Ma se fossi te non sarei me e non sentirei il mio amore perché non ci sarei più essendo diventata te ma questa è logica e non si sposa bene con la poesia.

 

Ecco vorrei essere la poesia che si sposa con la logica.

Il condizionale che si fa presente imperativo, sicuro senza incertezze

Il futuro che arriva per caso a volte in ritardo, a volte in anticipo

Vorrei darti un biglietto per il tour della mia anima. Costerebbe 1,50 € e varrebbe 100 minuti. Ma per te sarebbe gratis.

Vorrei vederti sorridere mentre mi leggi

Vorrei dirti di più ma anche di meno a seconda dei momenti, del clima e del mio umore

Vorrei avere avuto un’idea più originale che usare un’anafora fatta di “vorrei”

Vorrei il manuale dettagliato delle istruzioni di noi. Senza nomi svedesi impronunciabili. E’ già difficile così

 

Si potrebbe dire che vorrei quello che non ho. Ma questa è deduzione e non si sposa bene con la poesia

Ecco vorrei essere la poesia che si sposa con la deduzione

Il matrimonio lo celebrerebbe la ragione, vestita di immaginazione e a lanciare il riso sarebbero i dubbi

 

Vorrei la certezza di una sola verità che sia unica e immutabile che riempia i polmoni del primo respiro sicuro che farò quando tu non ci sei

Vorrei tutte le cose che non ho scritto e che ho pensato di scrivere

Vorrei anche quelle che non ho pensato per mancanza di fantasia

No, non vorrei più fantasia

 

Vorrei me. Adesso. Più di una pizzetta rossa.

Se

Se quelle mani che sono le mie mani potessero prendere le tue mani che sono le tue, lo farebbero.

Se quegli occhi che vedono i miei occhi fossero i miei, guarderebbero come sono diventata.

Se le spalle che spuntano al lato della testa mi appartenessero, si alzerebbero in segno di resa.

Se le vene che vedo irradiarsi nel dorso di quella mano che è la mia mano, venissero allo scoperto, saprei di che colore sono dentro io.

Se le gambe che tengono il peso di un corpo che non sento potessero muoversi, danzerebbero con te nello spazio di un verde prato.

Se i piedi con le cinque dita che conto tutti i giorni potessero parlare, mi direbbero che le dita sono ancora cinque e sono ancora le mie.

Se la pelle che segna il confine di un’anima stanca rivelasse i segreti che tiene dentro, non ci sarebbe differenza fra me e l’universo.

Se la musica che le orecchie stanno ascoltando adesso smettesse di suonare, potrei dire di essere sorda.

Se le unghie lisce che accarezzo fossero dipinte di colore, non sarebbero le mie.

Se il fremito che corre dentro al ritmo del cuore che dicono essere mio dovesse arrestarsi, smetterei di essere l’anima inquieta che sono.

Se fossi morta tutte le volte che l’ho temuto, avrei mille vite passate.

Se la voce che sento mi corrispondesse, canterebbe stonata.

Se tu fossi qui non scriverei parole che non sono mie.

Le lascerei agli altri.

Come ogni cosa che non mi appartiene.

Mi serve un cucchiaio

Per nutrire l’anima.

Mi serve un cucchiaio abbastanza grande per raccogliere gli abbracci degli amici, i Suoi baci e i sorrisi della gente al bar.

Mi serve un cucchiaio di ferro. Così quando lo avvicino alle labbra posso sentire il sapore metallico e quello forse mi basta per diventare più forte.

Mi serve un cucchiaio da tenere in equilibrio sulla punta dell’indice della mano destra. Per giocare a fare l’artista.

Mi serve un cucchiaio da far oscillare nell’aria per toglierli la durezza. Traformarlo in uno smidollato utensile che ondula tra le mie dita.

Mi serve un cucchiaio per lanciare gli acini d’uva al malcapitato di fronte a me. Prima mi servono degli acini d’uva.

Mi servono degli acini d’uva.

Mi serve un cucchiaio per portare a spasso la mia fragilità. Si mette comoda nella parte concava, seduta a osservare il panorama, in bilico tra me e il mondo. E lì si sente a suo agio.

Mi serve un cucchiaio da far vibrare addosso ad un altro cucchiaio per suonare una tremenda melodia che diverte solo me. Per questo mi serve un altro cucchiaio.

Mi serve un altro cucchiaio.

Mi serve un cucchiaio per vedere il contrario di me. E poi girarlo e vedere me.

Mi serve un cucchiaio perché non ho una bilancia per pesare la mia tristezza. E una volta ho letto su un sito che si possono usare i cucchiai come unità di misura. Un cucchiaio equivale a 10 grammi di farina, 18 grammi di zucchero e di tristezza non c’è scritto. Ma non è importante. Un cucchiaio è un cucchiaio. Se volevo sapere i grammi prendevo una bilancia, invece voglio un cucchiaio.

Mi serve un cucchiaio nuovo. Quello vecchio l’ho riempito e non ci sta più niente sopra.

Mi serve  un cucchiaio che sia nonno di un cucchiaino, padre di una forchetta e suocero di un coltello. Un cucchiaio che abbia il senso di famiglia e di solidarietà.

Mi serve un cucchiaio che possa lucidare nei momenti di noia. E poi infilare in tasca come i clochard dei film.

Mi serve un cucchiaio. E nient’altro. In un cucchiaio ci sta tutta la vita di cui ho bisogno.